di Giorgio Bozzi.

Non  ricordo il 1978 come un anno particolarmente felice sotto l’aspetto agonistico… eppure ero partito con molte ambizioni, tanto entusiasmo e grandi speranze.

A pensarci ora, ricordo che l’avventura nel Trofeo A 112 Abarth iniziò tutta in salita, con diverse difficoltà, segnali evidenti che forse qualcosa stava già andando nel verso sbagliato.

Cosa? L’acquisto del “12” (a rate) di nascosto dai genitori, neanche una lira per allestire la vetturetta con il “kit gara” da Trofeo e, circostanza di non poco conto, il debutto in campionato con due gare di ritardo.

Però, Mauro Nocentini (Mauro Rally Tuning) il preparatore per eccellenza delle A112 del Jolly Club e non solo, credette nel mio talento e preparò l’auto a sue spese garantendomi anche l’assistenza e le sue “cure” per tutte le rimanenti nove gare.

Ero il suo pilota!

Che soddisfazione, finalmente qualcuno mi stava aiutando nel realizzare l’unica cosa che volevo fortemente, correre nei rally e farne una professione.

Giocai comunque d’azzardo… non potevo fare altro, cioè contare a priori sui futuri risultati per intascare i premi delle gare e continuare, seppur a fatica, per l’intero anno agonistico.

Finalmente si parte: rally dell’Isola d’Elba, debutto incredibile con il miglior tempo sulla prima prova speciale e sempre nei migliori sino al ritiro, quando ero in terza posizione, a causa di un “ribaltone” con danni alla vettura che definire ingenti è solo essere ottimisti al limite dell’umorismo.

Ero veloce, è vero, potevo giocarmi ogni rally nei primi cinque classificati (in quegli anni ogni gara contava mediamente un parco partenti di quaranta A112 con picchi anche di sessanta partecipanti) ma ero “solo” senza alcun supporto, privo di consigli e di quell’appoggio morale che, se condiviso con le persone care, ti riempie di sicurezza e ti distoglie dall’affanno del risultato a tutti i costi.

Nonostante il disastroso avvio, Mauro Nocentini mantenne la promessa, ripristinò il “12” ma il campionato proseguì per altre tre gare senza di me, arrivando all’appuntamento di metà luglio, il rally delle Valli Piacentine, troppo in ritardo per sperare in un buon piazzamento di fine campionato.

Feci una buona gara, conservativa, attento a non strafare, con l’auto non proprio nel suo stato migliore. Mi classificai al 9° posto su circa 35 partenti con 25 all’arrivo: 1°Carini-Parenti, 2°Marasti-Ferrari, 3°Simontacchi-Genovesi, 4°Mirri-Lappo, 5°Rabino-Neri, 6°Cunico-Meggiolan, 7°Faggio-Maffei, 8°Spongia-Catto, 9°Bozzi-Pavesi, 10°Biondi-Di Gioia.

L’appuntamento con la vittoria era rinviato solo di qualche settimana, pensavo, al rally Colline di Romagna, ottava prova del campionato.

Gran bel rally, sterrato, difficile, lungo, con prove speciali sia di giorno che di notte, se avesse anche piovuto sarebbe stato perfetto.

Si, per me l’essenza dei rally erano la fatica, la notte, il fango, la scarsa aderenza e i “traversi”… perché la prima gara che vidi fu il rally San Martino di Castrozza, nel lontano 1969, con queste caratteristiche.

La logistica per il “Colline” non fu delle più semplici. Nonostante fosse ai primi d’agosto non avevo ferie e fui costretto a organizzare le prove nei due week-end precedenti, partendo al venerdì sera da Milano con il mostruoso traffico per tutto il tragitto delle partenze estive.

Inoltre, trovare un alberghetto da quattro soldi, in quel periodo, per tre week-end consecutivi non fu affatto facile.

E poi il muletto, la cara 127 a noleggio che, però, in loco nessuno affittava (furbi!) e di conseguenza bisognava prenotarla altrove, ma sempre da autonoleggi diversi perché dopo la prima volta, riconsegnata in stato pietoso, si doveva scappare!

E poi il caldo, soffocante, che mescolato alla terra che inevitabilmente filtrava in auto e al sudore… vi lascio immaginare!

E poi ricordo ancora l’indecisione, in albergo prima della partenza, se mettermi o no il sotto-tuta ignifugo completo (obbligatorio) che, combinato con la grezza tuta FPT di allora, sarebbe equivalso a un bagno turco di 12 ore!

Fui ligio ai regolamenti e indossai tutto, ma non feci molta strada… già, perché non arrivai neanche alla fine della prima prova speciale. Problema tuta risolto, ahimè.

Il Colline di Romagna fu anche il battesimo nel Trofeo dell’altro mio navigatore, Fabio Coppa, caro amico con diverse gare alle spalle con vetture ben più potenti,

Riporto testualmente uno stralcio di un racconto di Fabio su questa gara: “sapevo che i ragazzi del Trofeo avevano fama di essere veloci, ma che diamine, avevano circa un terzo dei cavalli rispetto alle auto dalle quali ero appena sceso…. e che sarà mai!”.

“Vedrai che ti diverti – mi fa Giorgio prima del via – oggi vinciamo!”

“I 15 minuti di quella prima prova speciale non li dimenticherò mai”.

Come in tutte le gare del Trofeo, i concorrenti partivano in ordine di classifica del campionato, avevamo il n°219 grazie ai pochi miseri punti conquistati al Valli Piacentine, a conferma che nonostante l’alto numero di iscritti ad ogni gara, erano sempre i soliti 15 piloti a fare classifica, entro i primi dieci.

La “battaglia” era davvero dura. Se si faceva parte di questo gruppetto si poteva finire a podio come quindicesimi, pur andando come matti!

Prima della partenza, in parco chiuso, mi avvicinai a Maurizia Baresi con il n°218 (credo fosse in testa al campionato femminile) e, con fare rispettoso, gli chiesi nel caso l’avessi raggiunta di spostarsi velocemente per farmi passare… mi apostrofò stizzita dicendomi: “ e tu fatti vedere!”

Già, bel problema, farsi vedere di giorno in mezzo a tanta polvere dove chi ti sta davanti non ha certo il pensiero e il tempo di guardare nello specchietto retrovisore! E poi l’essere raggiunti e superati da colui che parte un minuto dopo, fa male, ferisce l’orgoglio, e non tutti sono disposti a cedere il “passo” velocemente e umilmente riconoscendo la bravura altrui.

Ero sicuro di raggiungere in prova speciale Maurizia e il pensiero di perdere tempo nella sua polvere mi assillava non poco.

In trasferimento, verso lo start di inizio prova, dissi a Fabio di chiedere ai cronometristi se, gentilmente, ci avessero concesso prima del “via” un minuto in più (oltre a quello previsto dal regolamento), in modo da distanziarci il più possibile nella speranza di non trovare il temuto e certo polverone.

I commissari di percorso e i cronometristi furono inflessibili: si parte come da regolamento.

Attacco i primi chilometri con grinta, Fabio è perfetto, sicuro nel suo ruolo, forse un poco stupito da un avvio così al fulmicotone tale da far uscire dalla propria sede il clacson in mezzo al volante, rimasto appeso al filo che lo faceva penzolare repentinamente a destra e a sinistra in mezzo alle mie mani, non riuscivo a prenderlo per strapparlo.

Oltre al fastidio era anche un bel guaio… non avrei potuto suonare per farmi dare strada di li a poco.

Ci siamo, entriamo nella polvere della Baresi, cerco di avvicinarmi ma la visibilità è ridottissima, accendo i fari nella speranza di farmi notare ma, invano.

Ma quanto successe in questa prova speciale mi piace farvelo leggere dalle parole di Fabio: “guardavo stupito tra una nota e l’altra quel piede destro sempre giù, il sinistro che danzava sul freno, le mani che freneticamente facevano schizzare il volante da un fondo corsa all’altro… il nostro “12” volava”.

Non sapevo se essere più ammirato o più spaventato da quella guida al (o forse oltre il…) limite”.

Neanche metà prova e abbiamo già raggiunto la Baresi, faccio un rapido conto, 10 secondi al chilometro, forse di più. Va bene che è una ragazza, ma è un’enormità, e non va certo meno di tanti altri piloti maschi!”

Ci vuole una vita prima di farci vedere, lei non si aspetta di essere raggiunta in così poca strada… passa il tempo senza riuscire a passarla ed il nervosismo cresce”.

Vedo dalle note che arriverà un tornante, è deciso, passiamo lì! Come le ragazze allargano per impostarlo, un missile rosso le affianca con estrema determinazione in una staccata alla Villeneuve (padre), rischiando quasi la collisione. Allibite per l’evento imprevisto si fanno da parte. E ritorna la visibilità, era ora!”

“Qualche piccola sbavatura dovuta alla determinazione, ma il ritmo è impressionante”.

“Di nuovo siamo nella polvere sollevata: questo è Faggio! Mancano un paio di chilometri, gli arriveremo dietro a fine prova”.

“Rialzo gli occhi verso la strada e…. tutto sta girando. Terra, cielo, ancora terra, il parabrezza schizza via, ci fermiamo a testa in giù. Il polverone si abbassa, arriva qualche spettatore di corsa. La mia prima prova speciale nel Trofeo finì così, con la bocca piena di terra”.

Giorgio non riuscì a trattenere la rabbia, la delusione. Tre gare e pochissimi punti, l’auto di nuovo distrutta…”.

Dopo la gara volli controllare i risultati cronometrici degli altri. Faggio si classificò a 5 minuti esatti dal dominatore assoluto Mirri. Se solo in quella prima prova, su dieci totali, avevamo accumulato un vantaggio su di lui di quasi due minuti significava che, nonostante i rallentamenti subiti, stavamo staccando un tempo mostruoso, sufficiente a controllare il resto della gara, ma tant’è… con i “se” e i “ma” non si vince niente.