di Andrea Coco. Ottobre 1977. Il Rally di Sanremo cominciava a sera inoltrata; avremo dovuto correre tutta la notte sino all’ora di pranzo dell’indomani. Bebo Gasole e io eravamo alloggiati a San Romolo, nell’albergo-ristorante di Orlando Dall’Ava, un appassionato che in quel periodo correva anche lui nei rally, non ricordo con quale macchina. In quello stesso albergo avevamo prenotato, come spesso facevamo, anche per Attilio Bettega e sua moglie Isabella. Per l’occasione avevamo alloggiato lì tutti e quattro per quattro o cinque giorni, terminando di provare strade e note la sera prima della gara, noi con la nostra 125 a noleggio, i Bettega con la loro Peugeot ZS privata, personale di Attilio, con la quale erano arrivati da Molveno. Dunque partenza della gara la sera. Mattino che tutti e quattro avevamo dedicato allo studio a tavolino del percorso e al relax.
Dopo pranzo doverosa pennichella di poche decine di minuti, poi Attilio e Bebo dissero: “Noi ci vestiamo con le tute ignifughe e scendiamo a Sanremo con la 125 per portare le macchine da gara (che avevamo lasciato in qualche officina di Sanremo) in parco chiuso. Voi collazionate le note, indossate la tuta e quindi venite giù anche voi con la Peugeot.” Così facemmo. Loro due partirono che saranno state le 4 o le 5 del pomeriggio mentre Isabella e io, non ricordo se nella nostra o nella loro camera, cominciammo a collazionare (cioè a correggere) le note: io quelle loro; Isabella quelle nostre. Con suo commento che precedette di poco il mio analogo: “Però, usate il nostro stesso criterio e la stessa simbologia! Sono praticamente uguali alle nostre!” Alla fine -saranno state le 6 e mezzo/sette- ci cambiammo anche noi e io mi misi alla guida della Peugeot di Attilio per arrivare al parco partenze insieme con Isabella. Indimenticabili per me, dopo poche curve, i complimenti di Isabella: “Però! Come guidi! Certo che Bebo deve stare attento al suo navigatore!” Inutile dire che mi gonfiai come un tacchino anche se onestamente sottolineai che Bebo andava più forte di me, almeno nelle curve veloci, quelle davvero “da cuore”!
Alla fine di quella gara (come al solito almeno una cinquantina i concorrenti del Trofeo) i primi furono loro: noi secondi! Ma fu una gara meravigliosa, che racconto prova per prova nel mio Oliodiricino, e che perdemmo arrivando alle spalle di Attilio, solo per un banale errore di Bebo.
Avremmo ampiamente meritato di vincerlo quel Sanremo, bissando il Liburna di un mese prima. Gara indimenticabile anche quella, combattuta sul filo dei secondi in ogni prova, e che pure in realtà fu vinta da Attilio. Al termine delle verifiche d’ufficio, però, Bettega venne squalificato perché i commissari riscontrarono sulla sua auto un’irregolarità della quale peraltro lui era all’oscuro; per tutti noi stupida e insignificante ma che comunque prevedeva appunto la squalifica. E così vincemmo noi che avevamo chiuso al secondo posto scavalcando il velocissimo Paolo Turetta solo nell’ultima speciale.
A Sanremo quindi volevamo terminare la stagione con un successo vero, pieno e indiscusso. Fu una grandissima gara che subito ci vide nelle primissime posizioni. Soprattutto grazie all’indimenticabile prima prova speciale, il Ghimbegna, una quarantina di chilometri quasi tutti nella nebbia fitta, incollati al sedere di Fabrizio Tabaton (navigatore solitamente Gianni Vacchetto, ma in quell’occasione c’era Marco Rogano che al contrario stava spesso accanto all’anconetano “Camaleo”) che, pur partendo un minuto dopo di noi, ci aveva superato stabilendo alla fine il miglior tempo assoluto tra i big. Nessuno come lui nella nebbia. Sembrava un ubriaco, guidava a scatti e ogni tanto finiva fuori strada ma a bassa velocità e quindi poteva subito rientrare mentre noi lo superavamo, pronti sempre a farci risorpassare poco dopo.
Una prova (asfalto come tutte le altre riservate a noi trofeisti) che val la pena raccontare in dettaglio. La ricordo come fosse ieri, nonostante siano trascorsi quasi 50 anni!
Uno o due chilometri dopo il via vedemmo Fusaro e Trevisan (erano secondi in classifica generale, noi quinti, dunque loro partivano con il n.202, noi col 205, tre minuti dopo) che uscivano dalla loro A112 se non ricordo male finita addirittura sopra un albero i cui grossi rami e le foltissime chiome, dalla parete scoscesa sottostante, arrivavano appunto sino al bordo della strada. Per Fusaro gara terminata, ovviamente. Pochi minuti dopo cominciò la nebbia fitta. Non si vedeva letteralmente un tubo. Ancora pochi chilometri e ci accorgemmo di fari dietro di noi: non poteva che essere Tabaton che era sesto in classifica, dunque aveva il 206 e partiva un minuto dopo di noi, ma che ci aveva già raggiunto! “Minchia!” commentai ammirato tra una nota e l’altra. Bebo non voleva dargli strada ma lo convinsi io: “Se ci ha preso un minuto in sette/otto chilometri -gli dissi- vuol dire che questo nella nebbia vede meglio di un gatto. Fallo passare e poi ti incolli a lui! La finiamo lui primo e noi secondi, vedrai!”
Bebo mi diede retta e finì proprio come avevo previsto. Almeno trenta chilometri incollati alla A112 di Fabrizio. Un’esperienza nuova ma entusiasmante durante la quale tra l’altro mi ero talmente concentrato che neppure per un istante avevo perso filo e ritmo delle note, pur non essendocene teoricamente bisogno giacché avevamo un apripista di quel genere! Ma il fatto che lui ogni tanto finisse fuori strada e che noi sia pure per poche centinaia di metri ogni volta gli stavamo di nuovo davanti, mi convinse di aver fatto bene a non perdere mai le note, utilissime, anzi fondamentali soprattutto in quei pochi tratti in cui stavamo noi davanti a Fabrizio e Marco. E potevo riscontrare con precisione quanto le mie note fossero davvero giuste e rispondenti alla strada, solo grazie ai movimenti della macchina che percepivo sotto il sedere. Perché davvero non si vedeva a un metro!
Alla fine di quella prova insomma primi Tabaton e Rogano, secondi noi a un minuto e pochi secondi, gli altri 40/50 equipaggi staccatissimi, Bettega compreso, finché la nebbia si diradò e chi partiva ancora più dietro riuscì a far meglio di tutti. Non solo Guggiari e Perazzi ma pure Maurizia Baresi (che era partita quasi un’ora dopo di noi) fecero meglio di Attilio che aveva preso quasi 3 minuti da Tabaton e due da noi. Ma certo la Baresi (che sentii vantarsi di aver dato la paga a Bettega! Bella forza!) o gli altri, non potevano reggere a lungo in testa alla classifica generale. E infatti dopo poche prove sparirono letteralmente. Insomma, dopo quella prima prova noi eravamo alle spalle di Tabaton (l’unico che potesse impensierirci a quel punto) e quindi virtualmente -secondo me- in testa alla classifica. Perché chi stava davanti a Fabrizio (Guggiari) ero sicuro che non avrebbe resistito a lungo nelle prime posizioni, perché Bettega era comunque in forte ritardo e infine perché ipotizzavo che Tabaton ne avrebbe combinato qualcuna delle sue. E così fu. Non ricordo se uscì di strada in una delle ultime speciali, fatto sta che sin dalla seconda o dalla terza prova, noi -come avevo previsto- ci trovammo davvero secondi dietro al solo Tabaton, e con un bel vantaggio sul solito Attilio.
Poi un maledetto, determinante errore di Bebo ai Giovetti, a notte fonda in tutti i sensi! Eravamo da sempre d’accordo che in gara, in caso di mutate condizioni meteo rispetto a quando avevamo preso e provato le note, confermandole, io gliele avrei lette così come le avevamo indicate e ci avrebbe pensato lui a diminuirle mentalmente di una nella nostra scala di valori. Ebbene, discesa dei Giovetti con un acquazzone terribile. Curvone largo a destra. Gli leggo correttamente “Destra +! larga chiude in uscita”, ma lui non la scala a Media come mi aspettavo. Lascia la terza marcia anche per non perdere il ritmo che non era davvero male sin dalla partenza di quella speciale, compreso lo scollinamento con una derapata da freno a mano degna di un traverso Wrc. La nostra A112, come del resto tutte le A112, per l’obbligatorio monogomma Kleber montava le slick, per di più quasi sulle tele!! Nessuno aveva previsto la pioggia. D’altra parte l’alternativa alle slick sarebbero state le M+S -mud and snow, fango e neve- certo poco adatte alla pioggia per la quale sarebbe stata necessaria invece una Rain, stranamente (ma forse solo per contenere i costi) non prevista dal regolamento.
Ebbene, all’uscita da quella curva la nostra macchina smusa dritta come una freccia e nonostante il grande bloccaggio anche con l’aiuto del freno a mano, si ferma su uno strapiombino con le ruote anteriori fuori dall’asfalto e quasi sospese nel vuoto. Inutile la retromarcia provata immediatamente da Bebo. Scendiamo sotto il diluvio e proviamo inutilmente a spingerla indietro. Mentre altrettanto inutilmente chiediamo aiuto a qualche spettatore (nessuno evidentemente aveva voglia di inzupparsi ulteriormente e soprattutto di infangarsi), cominciano a passare i concorrenti che partivano dietro di noi. Ne conto uno, due, tre. Avevamo evidentemente già perso oltre 3 minuti, bloccati lì, quando finalmente, grazie all’aiuto di qualcuno impietosito dalle nostre suppliche e dai nostri tentativi, riusciamo a rimettere la macchina in strada.
Ripartimmo senza neanche allacciarci le cinture. Due curve dopo, testacoda completo. Rischiavamo di ammazzarci. Richiamai Bebo alla calma e lo invitai ad arrivare in fondo alla prova per poter sostituire gli pneumatici e vedere quale fosse la situazione.
Prendemmo 3 minuti e mezzo dal vincitore di quella prova e dal primo (o secondo) posto scivolammo addirittura al nono della classifica generale, con il nostro grande avversario Bettega che in quella sola prova ci aveva recuperato il minuto e mezzo di ritardo che aveva e ce ne aveva rifilato altri due. Litigammo, se non ricordo male Bebo pianse per il nervoso e l’occasione sfumata: voleva ritirarsi. Lo calmai ancora una volta e lo invitai a resettare l’accaduto con un semplice ragionamento. “La gara è ormai persa, visto che mancano quattro (o cinque?) prove alla fine e la rimonta sarebbe impossibile. Finiamo la gara cercando magari di migliorare qualche posizione e riportiamo pelle e macchina sani e salvi a casa! Ok?” Bebo mi diede retta e dopo una prima speciale mediocre, visto che ancora “non era lui”, cominciò poi una rimonta strepitosa, indimenticabile, che in appena altre tre o quattro prove ci permise di risalire in classifica e concludere secondi alle spalle del solito Attilio.
Ricordo in particolare la lunghissima prova di San Bernardo di Conio. C’era, tra le altre, una discesa nella quale Bebo staccò così in fondo prima di un tornante sinistro che il respiro mi si fermò in gola mentre il fumo dei freni e delle gomme invase l’abitacolo, per un attimo impedendoci totalmente la visuale: dischi dei freni incandescenti sì, si possono vedere anche di giorno e pure sulle auto di prova, ma un’emozione così forte dall’interno di un abitacolo davvero non l’avevo mai provata in vita mia, neanche paragonabile al ruzzolone di Piacenza! Prima ancora di vedere i tempi ufficiali avevo capito che quella speciale l’avevamo stravinta: ne ero certo. Al termine, infatti, avevamo dato quasi 20 secondi all’incredulo Bettega, secondo alle nostre spalle. Non parliamo degli altri, tutti con distacchi anche di minuti per i circa 30 chilometri di quella prova. E in classifica generale eravamo risaliti concludendo al secondo posto, appunto alle spalle di Bettega, con un ritardo di circa 3 minuti, guarda caso quelli che avevamo perso ai Giovetti. In teoria, senza quell’errore ci saremmo giocati la vittoria con Attilio e Isabella come al solito sul filo dei secondi.
Che gara quel nostro Sanremo! Peccato. Un secondo posto che ci andava davvero molto stretto. Ma poi due giorni dopo, alla premiazione ufficiale del Trofeo, riservata ai primi sei equipaggi (noi, nonostante due o tre gare in meno rispetto agli altri -avevamo saltato il Ciocco, la Sicilia, l’Abruzzo e il Gargano, questi ultimi due peraltro disertati da molti dei big perché a basso coefficiente- finimmo quinti in campionato, davanti a Tabaton e Pelganta, vincendo il premio di cinque milioni di lire), ci pensò Cesare Fiorio a riempire anche Bebo di complimenti, dopo aver annunciato che Bettega, vincitore del Trofeo, non solo avrebbe avuto in premio una fiammante Beta Spider (come da regolamento) ma sarebbe anche diventato pilota ufficiale Lancia con l’esordio pochi mesi dopo al Val d’Aosta (con la sua Stratos alla fine alle spalle di quella di Munari) e che Fusaro (secondo nel Trofeo), nel 1978, l’anno successivo, avrebbe fatto la Mitropa Cup con la 131 Abarth. Dopo aver elogiato il terzo classificato, il velocissimo vicentino Turetta, e il quarto, l’udinese Comelli, aggiunse poi in sostanza (sorprendendo tutti i presenti, noi per primi) che secondo lui almeno sull’asfalto il sardo Gasole aveva pochi rivali ma che era troppo grande d’età (aveva già 30 anni, Bettega 23, tanto per fare un esempio) per avere un sedile ufficiale.
Fu proprio in quell’occasione che conobbi Cesare Fiorio, che poi “frequenterò” per tanti anni nei Rally (in particolare in quello “mio” di casa, della Costa Smeralda) e in Formula 1, con una singolare coincidenza: lui è stato il direttore sportivo della Lancia e poi della Ferrari proprio negli stessi anni in cui io da giornalista seguivo il mondiale rally e poi quello della F.1 per conto di Radiorai. Finito lui, finito io.