di Fabio Coppa.

Ripercorrendo la storia del Trofeo A 112 a distanza di quattro decenni, non posso che riaffermare due mie convinzioni.

La prima è che gli otto campionati disputati possono grosso modo dividersi a metà: i primi quattro all’insegna dei grandi campioni e delle grandi opportunità ed i quattro successivi, pur facendo salve alcune rare eccezioni, con un livello qualitativo più modesto, che andò via via abbassandosi.

L’altra considerazione riguarda i singoli piloti, le cui doti erano diversissime.

Il Trofeo nel suo complesso ha lanciato alcuni grandi campioni dalle qualità indiscutibili, ed ha messo in luce un buon gruppo di bravi piloti, molto validi e penalizzati solo dalla forza degli avversari incontrati nel loro percorso. Gran parte degli altri furono solo oneste comparse, ragazzi che correvano nel Trofeo perché era una esperienza eccitante, poco costosa e comunque fonte di grande divertimento. Nel mio ruolo di pilota fui uno di questi.

Ma vi era anche qualche eccezione. Qualche pilota che non era inferiore, almeno in velocità pura, ai grandi protagonisti ma che non raccolse nulla, neanche un podio in una singola gara. Non ne ricordo molti, ma Giorgio Bozzi era tra questi pochi.

Ritorno con la memoria alle ricognizioni del 4 Regioni 1980.

Quella notte pochi giorni prima della gara, sul bordo della strada in attesa che qualche anima pia ci desse un passaggio fino a Varzi, capii che anche l’ultima occasione se n’era andata. Quel muletto 70HP ribaltato nella scarpata era il simbolo della fine di un sogno, di una continua rincorsa cominciata due anni prima, all’Elba 1978.

Per la verità io al debutto non c’ero, Giorgio si affidava a due navigatori e la prima gara non era il mio turno. Nessuno meglio di lui può descrivere l’emozione di un debutto, e che debutto, nonostante il finale amaro. Credo che lo abbia fatto alla perfezione.

Quella fu la prima occasione mancata.

Seguì il Valli piacentine, con la A 112 appena risistemata dopo il botto dell’Elba.

Forse per timore di strafare, disputò una gara molto conservativa, l’appuntamento con la vittoria era rinviato solo di qualche settimana.

Il successivo Colline di Romagna fu quindi il mio debutto coma navigatore nel Trofeo.

Avevo già un paio di stagioni alle spalle, su vetture come Fulvia HF 1600, Kadett GT/E 2.0 Gr.2, Porche Carrera 2.7 e via dicendo.

Sapevo che i ragazzi del Trofeo avevano fama di essere veloci, ma che diamine, avevano circa un terzo dei cavalli rispetto alle macchine dalle quali ero appena sceso…. e che sarà mai!.

“Vedrai che ti diverti – mi fa Giorgio prima del via – oggi vinciamo!”

I 15 minuti di quella prima P.S. non li dimenticherò mai.

Credo di non essere mai andato così forte, almeno rispetto al mezzo, in vita mia.

Discosto quanto possibile per lasciargli spazio (è alto più di 1,90…) guardavo stupito, tra una nota e l’altra, quel piede destro sempre giù, il sinistro che danzava sul freno, le mani che freneticamente facevano schizzare il volante da un fondo corsa all’altro… la macchina volava. Non sapevo se essere più ammirato o più spaventato da quella guida al (o forse oltre il…) limite.

Neanche a metà prova già siamo accecati dal polverone sollevato dalla Baresi, che ci partiva davanti. Faccio un rapido conto: 10 secondi al chilometro, forse di più. Va bene che è una ragazza, ma è un’enormità, e non va certo meno di tanti altri piloti maschi!

Ci vuole una vita prima di farci vedere: è pieno giorno, la polvere è fittissima, lei non si aspetta di essere raggiunta in così poca strada, il nostro clacson è uscito dalla sede per gli scossoni ed è muto…. passa il tempo senza riuscire a passarla ed il nervosismo cresce.

Vedo dalle note che arriverà un tornante, è deciso: passiamo lì! Come le ragazze allargano per impostarlo, un missile rosso le affianca con estrema determinazione in una staccata alla Villeneuve (padre), rischiando quasi la collisione. Allibite per l’evento imprevisto si fanno da parte. E ritorna la visibilità, era ora!

Qualche piccola sbavatura dovuta alla determinazione, un piccolo dritto, ma il ritmo è impressionante.

Di nuovo siamo nella polvere sollevata: questo è Faggio! Mancano un paio di chilometri, gli arriveremo dietro a fine prova.

Rialzo gli occhi verso la strada e…. tutto sta girando. Terra, cielo, ancora terra, il parabrezza schizza via, ci fermiamo a testa in giù. Il polverone si abbassa, arriva qualche spettatore di corsa. La mia prima P.S. nel Trofeo è finita qui: a gambe per aria, con la bocca piena di terra. Cominciamo bene…..(alcune immagini di questa prova sono pubblicate sul libro di Francesco Panarotto, a pag.119)

Giorgio non riesce a trattenere le lacrime. Tre gare e pochissimi punti, la macchina di nuovo distrutta….

Dopo la gara volli controllare i risultati cronometrici degli altri. Faggio si classificò a 5 minuti esatti dal dominatore assoluto Mirri. Se solo in quella prima prova, su dieci totali, avevamo accumulato un vantaggio su di lui di quasi due minuti significava che, nonostante i rallentamenti subiti, stavamo staccando un tempo mostruoso, sufficiente a controllare il resto della gara, ma tant’è….. Con i “se” non si vince niente.

Però qualcuno si accorse di noi, o meglio si ricordò di Giorgio. Il trio Nocentini – Mocauto – Jolly Club credeva nelle doti del pilota e per il 1979 ripescò un vecchio 112 ex-gara, già declassato a muletto e riesumato per l’occasione come terza macchina del team, con Cunico e Vittadini.

Dopo un debutto stagionale più prudente sull’asfalto siciliano, toccò nuovamente a me in Costa Smeralda.

Nuovamente a pancia bassa, qualche tempo viene anche, ma alle assistenze del Jolly gli altri cambiano gomme e fanno il pieno mentre a noi risaldano la scocca con la fiamma ossidrica. La vecchia macchina non regge le sollecitazioni di una guida da assoluto.

Sono stupefatto di come si riesca a restare a pochi secondi dai migliori con un volante che alla fine di una prova è ruotato di 90° a destra e dopo la successiva lo è altrettanto ma dalla parte opposta. Nonostante questo Gianfranco, Paolo e gli altri ci danno pochissimo, e non sempre. Ma la macchina peggiora ancora. Il pilota ci mette del suo, e anche di più, ma alla fine siamo solo settimi.

Il resto della stagione 1979 proseguì così, con una macchina che mortificava le capacità dei pilota, con una sola eccezione: il 4 Regioni.

Con Cunico assente per motivi di leva militare, la sua macchina vincente era libera.

La squadra decise di affidarla a Bozzi, per dargli una opportunità forse irripetibile.

Ripagata con una gara per tre quarti magistrale: tempo record sulla prima P.S., Pozzolgroppo, ed il primo posto in classifica mantenuto fino a due prove dal termine, quando una piccola toccatina fa scivolare la perfetta macchina biancorossa a testa in giù appena sotto la sede stradale. Danni pochissimi, ma ennesima occasione mancata.

Burlando su Autosprint titolò: “Comelli dopo l’uscita di Bozzi”, come a rimarcare che quella restò l’unica gara della stagione regalata ad una vettura non Mocauto.

Tornato sull’ex-muletto, al Valli piacentine su asfalto la vettura sembrava avere un momento meno infelice e quel giorno consentiva tempi degni del pilota. A poche prove dalla fine il navigatore (l’altro), solitamente attentissimo, sbaglia i calcoli di un C.O quando sono tra i tre dell’assoluto pur con quella mezza macchina, ripiombando così nelle retrovie. Troppo facile elencare un’altra occasione mancata.

Arrivò l’inverno, sapevamo che il trio di benefattori non si sarebbe ripetuto, e cercammo altrove. L’amico, pilota  e grande appassionato Tino Saccomanno, titolare della concessionaria Lancia di Saronno, si sostituì al collega Mocarelli nel darci fiducia, e ci mise a disposizione un quinta serie nuovo fiammante per il 1980.

Il programma era rigoroso. Entro i 5 sulla terra, entro i 3 sull’asfalto. Con questo ruolino chiaro in mente affrontammo la stagione per vincere. Anche Tabaton e Cunico avevano vinto alla seconda stagione (e pure Cinotto lo fece, ma ancora non lo sapevamo).

Quello era il nostro anno. Muletto 70HP (che poi era la macchina stradale di Giorgio) e grande determinazione. Non era più consentito sbagliare.

Saltò il Targa Florio perché la macchina non era ancora finita, al Costa Smeralda fummo troppo prudenti raccogliendo solo un 7° posto ed all’Elba, dove Giorgio corse con il maggiore dei tre Vittadini, il leveraggio del cambio tirò un brutto scherzo.

Al “famoso” 4Regioni 1980 eravamo iscritti col 315, a testimoniare il ritardo in classifica generale, ben al di sotto del programma che ci eravamo prefissi.

Ma il 4 Regioni era la nostra “gara di casa”, c’era un conto in sospeso dall’anno precedente, non era immaginabile alcun risultato inferiore al primo assoluto.

La classifica era ancora “corta”, nessuno aveva vinto più di una gara, la stagione era in salita ma non compromessa. Ce la potevamo ancora fare.

E la tensione era alta. La pressione psicologica, almeno per me, altrettanto.

Le ricognizioni erano quasi terminate, mancava l’ultimo passaggio di rifinitura.

Pozzolgroppo, Oramala, Varzi….non ricordo i tempi di quella notte di prove ma sono certo che in gara pochi li superarono. E giravamo con un 4 marce stradale, senza caschi e senza rollbar….

Giorgio guidava come in gara, era uno spettacolo esaltante anche per il pubblico che a quei tempi era numeroso anche durante le ricognizioni.

Poi, non so come, in salita verso Castellaro, ancora l’asfalto al posto del blu della notte, ancora vetri che scoppiano, ancora scintille dal tetto e poi i fari che illuminano la scarpata, con un provvidenziale albero che trattiene il 112 blu, semi distrutto, da una caduta ancor più ripida.

Ritornammo sulla strada, aspettando qualcuno che ci raccattasse per riportarci a Varzi.

Quella notte si era definitivamente spezzato un sogno.

Era l’ennesima occasione mancata. Senza più neanche il muletto, con una stagione in salita, un budget comunque risicato…. era finita lì.

Giorgio abbandonò il Trofeo, io smisi di fare il navigatore.

Anche perché, nonostante tutto, sapevo che un pilota così veloce non lo avrei più trovato.

Giorgio Bozzi non è mai salito sul podio nel Trofeo, neanche una volta.

Ma, onestamente, almeno quello se lo meritava davvero.

Anche se pochi lo sanno, o se ne ricordano..

Anche alcuni grandi nomi del Trofeo hanno ribaltato un numero imprecisato di A112.

Ma a loro almeno qualche volta è andata bene, e da lì hanno fatto strada.

A volte il confine tra il successo e la sconfitta è una linea sottilissima.