di Massimo Pilichi. 

Visto che in Sardegna ci era andata tutto sommato bene, il sottoscritto e Maurizio Satanassi prendemmo un’altra settimana di ferie e partimmo alla volta dell’Elba, sempre senza assistenza e con solo la A112 ma, stavolta per risparmiarla un po’ decidemmo di noleggiare un’auto in loco per le ricognizioni. La scelta cadde su una 127 blu che trovammo a Porto Azzurro e già a Rio nell’Elba si dovette intervenire col classico fil di ferro per fissare la marmitta che stava per abbandonarci.

        Per sfruttare adeguatamente le sole 24 ore di noleggio che ci potevamo permettere, passammo venti ore filate, percorrendo circa 800 km in quella 127 che, dopo qualche ora di riposo riportammo impolverata a Porto Azzurro in condizioni che potete immaginare da soli.

        Sempre per limitare le spese, non alloggiavamo in albergo ma in residence, il Sud Est di Cala di Mola. Considerando che partenza e arrivo erano a Marina di Campo, non fu esattamente una mossa furba infatti, dovendo portare l’auto in parco partenza, nel tardo pomeriggio invece di essere a riposare eravamo in giro per Marina di Campo in tuta ignifuga.

        Si partiva di notte (23.01 il primo), poi il trasferimento fino a Bagnaia dove iniziava la lunga PS “Falconaia – Cavo” seguita da un trasferimento tiratissimo, meno 4’30” sul mio road book. Partimmo e già sulla salita c’erano degli equipaggi fermi a cambiare le gomme forate. Poco prima del bivio di Rio nell’Elba dissi a Maurizio “se ti sembra d’aver forato, fermiamoci al tornantino, c’è luce e molto pubblico che ci può aiutare” risposta “no, no, non abbiamo forato”. Circa un chilometro dopo il famoso tornantino con la chiesetta, sentii nell’interfono un laconico “mi sa che abbiamo forato”.

        Ed iniziò il nostro calvario, trovata una piazzola accostammo lasciando il motore in moto con i fari accesi per vedere qualcosa nel buio totale. Allentati i dadi ed alzata l’auto, essa prontamente ricadde avanzando perché il pulsante del freno a mano era stato bloccato rendendolo inutilizzabile. Raddrizzato in qualche modo il crick e posto un sasso davanti alla ruota sul lato opposto, riuscimmo alfine a cambiare la ruota e ripartire ma, avevamo perduto un sacco di tempo e dopo lo stop ci aspettava un trasferimento impossibile, infatti timbrammo in ritardo al controllo orario di Rio Marina.

        Nel frattempo, siccome la sfiga ci vede benissimo, si era staccato lo scarico dal collettore allietandoci con un baccano infernale ed una pioggia di scintille sotto l’auto. Allo start della P.S. “Monte Fico”, posto accanto alla torre di Rio Marina, chiedemmo a dei ragazzi del pubblico di strappare lo scarico, attaccato solo per il gommino del terminale, onde evitare che si impuntasse nella prima buca, con effetti disastrosi.

        Eravamo arrabbiati per la gomma, spaventati (almeno io) per il trasferimento percorso a velocità pazzesca, delusi per aver “pagato” al C.O. e con lo scarico aperto iniziammo quella prova speciale che a me non piaceva tanto. Dopo qualche chilometro trovammo un grosso sasso al centro della strada, a sinistra c’era un terrapieno, a destra una scarpata, lo prendemmo in pieno col paracoppa, una botta tremenda! A circa due terzi della prova trovammo una fila di lucine rosse, tutti fermi perché un concorrente si era girato.

        Risolto l’ingorgo ed usciti dalla prova ci dirigemmo verso Capoliveri per la P.S. “Calamita” la mia preferita, purtroppo nel trasferimento notammo un comportamento abbastanza anomalo della vettura, infatti con la botta presa sul paracoppa si ruppe non so bene quale parte delle sospensioni anteriori e fummo costretti ad un mesto ritiro.

        Il giorno dopo, con l’aiuto di un meccanico locale, Maurizio riuscì a rappezzare la povera A112 quel tanto che bastava per tornare a casa (senza scarico).

        E qui finì la mia breve me intensa avventura nel Trofeo.