di Andrea Coco. Rally dell’isola d’ Elba 1977, la nostra gara d’esordio nel Trofeo A112 Abarth. Era già la terza prova del campionato. La prima, il Rally del Ciocco, l’aveva vinta Fusaro. La seconda, il Targa Florio siciliano, era stata invece vinta da Bettega, in viaggio di nozze con la sua “navigatrice” Isabella Torghele da Baselga di Pinè. A quelle due gare noi (Bebo Gasole e io) non avevamo potuto partecipare giacché la nostra macchina, nuova fiammante e a chilometri zero, dall’amico della mia famiglia e concessionario Lancia Flavio Columbano, non era stata fatta nemmeno imbarcare per la Sardegna ma dal porto di Genova, dove si trovava, era stata fatta spedire direttamente a Firenze nell’officina di colui che avevamo scelto come nostro preparatore/allestitore, Mauro Ciucchi Giani, via Masaccio, e ancora non era pronta.
Pochi giorni prima del via di quel Rally, tra le strade dell’Elba avevamo conosciuto Dario Cerrato (che anni dopo avrebbe vinto più volte anche nella “nostra” Costa Smeralda, diventando campione europeo) in maniera quanto meno singolare. Stavamo provando una “speciale” con la solita macchina a noleggio. All’uscita da una curva ci trovammo questi due (appunto lui e suo fratello Pierluigi che era il suo navigatore), appiedati, che ci chiedevano un passaggio per rientrare nello stesso albergo (lo scoprimmo allora) nel quale eravamo alloggiati anche noi. Era successo che, provando pure loro quella strada a traffico aperto, si erano schiantati su un trattore che procedeva in senso inverso! Macchina (a nolo ovviamente) distrutta ma per fortuna nessun danno personale.
Nei giorni seguenti conoscemmo anche due “trofeisti” come noi, Lucio e Daniele, che per provare avevano preso anche loro una macchina a noleggio. In quei giorni l’avevano ridotta talmente male da non poterla certo restituire in quelle condizioni: non avrebbero potuto in alcun modo giustificare lo stato disastroso della macchina, forse la solita 127. Era ammaccata dappertutto, davanti, dietro, sulle fiancate e persino sul tetto, visto che se l’erano messa a cappello, come si dice, forse anche più di una volta. Le portiere non si aprivano e per evitare che magari si spalancassero all’improvviso mentre l’auto era in movimento, Lucio e Daniele le avevano legate con una robusta corda avvolta proprio intorno al tetto. E per entrare e uscire dalla macchina usavano i finestrini. “Per fortuna” gliela rubarono -denunciarono ai carabinieri- e non fu mai più ritrovata.
Ricordo poi che in gara, nella prova di Monumento, tutta su asfalto, Bebo fece un tempo tanto strabiliante che al primo riordino Pigi Comelli (navigatore Gigi Lajolo) lo guardò e chiamandolo Gàsole e non Gasòle, gli fece, con un mezzo sorriso amaro: “Ma chi sei, Vatanen!?”.
Al Volterraio, prova tutto sterrato, una pietra ci bucò il serbatoio. Per proseguire dovevamo rabboccare di continuo. Già con tirate sino a 8000 giri in tutte le marce, la nostra auto non faceva più di due chilometri al litro, figurarsi cosa spendemmo di benzina per portare a termine quella gara al sesto posto assoluto su un lotto -se non ricordo male- di una sessantina(67 n.d.r.) di concorrenti. La settimana successiva una nostra foto per la prima volta comparve nella Bibbia dell’automobilismo sportivo, Autosprint. Nell’articolo firmato dal mio anziano e simpatico collega Carlo Burlando si inneggiava a questo sconosciuto ma velocissimo isolano Italo Casole come l’aveva chiamato sbagliando ovviamente l’iniziale del suo cognome. Una bella soddisfazione, anche per me che da diversi anni, comunque, navigavo nei rally accanto a Bebo.
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